Onorevoli Colleghi! - Come è noto, la riforma del diritto internazionale privato attuata con la legge 31 maggio 1995, n. 218, non contempla alcuna specifica disposizione a proposito di diritto della navigazione. In linea con tale scelta di fondo, l'articolo 73 della medesima legge, nel precisare gli articoli abrogati dalla nuova normativa, non contiene alcun riferimento a disposizioni del codice della navigazione.
      Si tratta di una scelta singolare, in quanto dottrina e giurisprudenza hanno segnalato da tempo, ad esempio, che talune disposizioni contenute negli articoli da 5 a 14 del codice della navigazione devono considerarsi superate a seguito dell'entrata in vigore (avvenuta il 1o aprile 1991) della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, adottata a Roma il 19 giugno 1980, resa esecutiva dalla legge 18 dicembre 1984, n. 975, mentre altre, pur destinate ad operare in ipotesi non direttamente riconducibili all'ambito di applicazione di convenzioni di diritto uniforme, adottato ingiustificatamente - in relazione a medesime o analoghe fattispecie disciplinate da queste ultime - soluzioni incoerenti rispetto a quelle concordate dall'Italia in ambito internazionale. Inoltre, se la legge n. 218 del 1995 contiene una disciplina utilizzabile, per taluni aspetti, anche con riferimento ai rapporti marittimi, per altri aspetti essa richiede invece di essere «adattata», ovvero opportunamente completata,

 

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in funzione delle particolari caratteristiche del fenomeno della navigazione marittima.
      Quanto sinteticamente sottolineato evidenzia, da un lato, l'esigenza indifferibile di procedere ad una organica revisione delle norme sui conflitti di legge in materia di diritto della navigazione e, dall'altro, almeno tre importanti indicazioni circa il metodo da seguire in tale direzione. La prima indicazione attiene all'esigenza di individuare e rimuovere le ingiustificate antinomie o disomogeneità desumibili dagli articoli da 1 a 14 del codice della navigazione (disposizioni preliminari) rispetto alle soluzioni normative accolte in convenzioni internazionali alle quali l'Italia ha aderito, in quanto tali ingiustificate antinomie e disomogeneità (anche laddove non costituiscono violazione degli obblighi assunti dallo Stato allorché si è vincolato all'attuazione di tali convenzioni) si traducono in immotivate disparità di trattamento - non sempre superabili in via interpretativa - di situazioni sostanzialmente assimilabili, a seconda che esse ricadano o meno nell'ambito di applicazione internazionalmente rilevante di tali convenzioni.
      La seconda indicazione, riguarda l'opportunità di adeguare la normativa in esame a quelle esperienze di diritto comparato che sono state utilizzate in sede di razionalizzazione dottrinale, a conferma e condivisione di alcune significative soluzioni giurisprudenziali affermatesi in materia nel nostro ordinamento.
      La terza indicazione si riferisce ai rapporti che intercorrono tra la disciplina di diritto comune, contenuta nella legge n. 218 del 1995, e quella dettata in funzione delle peculiari caratteristiche del diritto della navigazione. Da tempo, infatti, la cosiddetta «autonomia del diritto della navigazione» ha perduto molte delle sue originarie connotazioni, essendo ormai impiegata solamente come formula descrittiva del complesso delle sue disposizioni al fine di evidenziarne non già la completezza, bensì il carattere di specialità. Il problema dell'eventuale estensione analogica di tali disposizioni non viene infatti risolto sulla scorta della loro appartenenza ad un sistema unitario ed omogeneo di diritto della navigazione marittima, bensì in virtù della capacità espansiva della loro specifica ratio e dei loro contenuti inespressi. L'autonomia del diritto della navigazione, quindi, è una formula che, al di là delle polemiche e dei dissidi provocati nel passato, non vuole negare i collegamenti del diritto della navigazione con le norme di diritto comune, ma valorizzarne soltanto i caratteri di specialità.
      Va sottolineato un quarto tratto caratterizzante la riforma delle norme sui conflitti di legge in tema di diritto della navigazione. Si tratta dell'opportunità di limitare tale riforma al solo fenomeno della navigazione marittima, essendo il fenomeno della navigazione aeronautica oggetto, a sua volta, di un ampio processo di revisione in itinere, avviato, tra l'altro, in considerazione delle peculiarità di tale materia, rispetto a quella cui si riferisce la presente proposta di legge.
      Un'ulteriore riflessione attiene, infine, al numero esiguo delle norme proposte in sostituzione delle disposizioni preliminari del codice della navigazione. In apparente contraddizione con una tendenza generale seguita in occasione delle revisioni dei sistemi nazionali di diritto internazionale privato (evidenziatasi anche in occasione della riforma attuata nel nostro ordinamento con la legge n. 218 del 1995) la proposta di legge non solo non incrementa in modo significativo, ma addirittura riduce - seppur in misura modesta - il numero delle disposizioni sui conflitti di legge attualmente dedicate al diritto della navigazione marittima. In realtà, alla base di tale scelta normativa vi è una motivazione già evocata nell'ambito della presente relazione. Si intende alludere all'accentuazione del ruolo che è stato assegnato al diritto comune, ai fini dell'inquadramento e dell'integrazione della disciplina «speciale» sui conflitti di legge proposta in materia di diritto della navigazione marittima. La contraddizione, pertanto, è soltanto apparente, in quanto è proprio l'incisiva «specializzazione» impressa alle norme di diritto internazionale
 

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privato previste dalla legge n. 218 del 1995 a fornire un quadro normativo più compiuto, entro il quale possono essere ricondotte le norme del medesimo tipo di cui si propone l'adozione nel settore in considerazione, con riguardo alle situazioni ed ai rapporti per i quali soltanto si rende necessario un adeguamento, ovvero un'integrazione, della disciplina di diritto comune altrimenti applicabile.
 

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